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Martedì, 23 Febbraio 2021 09:26

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La desertificazione del commercio: spariti 90mila esercizi 

Cancellate quasi centomila attività commerciali nel giro degli ultimi otto anni. Segno tangibile del progressivo e inarrestabile processo di desertificazione commerciale che ora, con l'onda lunga delle restrizioni imposte dalla pandemia, si va amplificando soprattutto per i contraccolpi sui settori della ristorazione —ieri in migliaia in piazza in molte città d'Italia— e alberghiero. È lo scenario tracciato nell'analisi dell'Ufficio Studi di Confcommercio "Demografia d'impresa nelle città italiane" in cui si calcola che tra il 2012 e 112020 sono sparite dalle città italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese ambulanti (-14,8%). Ma il rapporto lancia un altro allarme: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima volta da due decenni la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%). «I1 rischio di non riavere i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico», avverte l'associazione evidenziando come tra il 2012 e i12020 si sia verificato un cambiamento del tessuto commerciale all'interno dei centri storici che la pandemia tenderà ad enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tengono in qualche modo i negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che svolgono nuove funzioni come le tabaccherie (-2,3%), mentre e rilevante l'impatto del cambiamento dei consumi che coinvolge in primis tecnologia e comunicazioni (+18,9%). Il resto dei settori merceologici è invece in rapida discesa: i negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici registrano riduzioni che vanno dal 17% per l'abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina. La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici. Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, «il futuro è molto incerto». Per fermare la desertificazione commerciale delle città Confcommercio individua tre direttrici, come spiega il presidente Carlo Sangalli: "sostenere le imprese più colpite dai lockdown, introdurre una giusta web tax che risponda al principio "stesso mercato, stesse regole", piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese'. Ma nell'immediato, bar e ristoranti avanzano le proprie richieste per cercare di sopravvivere ai vari regimi di zone gialle e arancioni. In prima battuta, viene chiestala riapertura serale, almeno nelle zone gialle, dei pubblici esercizi in grado di garantire il servizio al tavolo. Un'opzione «non più rinviabile' avverte Fipe-Confcommercio che propone di poter riaprire anche alla sera, fino alle 22, in zona gialla e fino alle 18 in zona arancione. «Ci auguriamo che il primo Dpcm del nuovo governo segni un cambio di passo» rimarca la Federazionedei Pubblici esercizi decisa a tutelare oltre un milione di lavoratori nelle «centinaia di migliaia di imprese che non possono essere aperte o chiuse con un'ordinanza pubblicata nella notte e valida dalla mattina successiva». 

Martedì, 23 Febbraio 2021 08:47

Commercio: Covid come Chernobyl

Nelle città chiuse 93mila imprese, quest'anno nei centri storici sparirà ¡125% di hotel e ristoranti ® Sangalli: sostegni a chi è colpito dai lockdown, una giusta web tax e rigenerazione urbana per la digitalizzazione LAURA CAFARO ROMA. Cancellate quasi centomila attività commerciali nel giro degli ultimi otto anni. Segno tangibile del progressivo e inarrestabile processo di desertificazione commerciale che ora, con l'onda lunga delle restrizioni imposte dalla pandemia, si va amplificando soprattutto per i contraccolpi sui settori della ristorazione e alberghiero. È lo scenario tracciato nell'analisi dell'Ufficio studi di Confcommercio "Demografia d'impresa nelle città italiane", in cui si calcola che tra il 2012 e il 2020 sono sparite dalle città italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 14mila imprese ambulanti (-14,8%). Ma il rapporto lancia un altro allarme: nel 2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima volta da due decenni la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%). «Il rischio di non riavere i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico», avverte l'associazione, evidenziando come tra il 2012 e il 2020 si sia verificato un cambiamento del tessuto commerciale all'interno dei centri storici che la pandemia tenderà ad enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tengono in qualche modo i negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che svolgono nuove funzioni come le tabaccherie (-2,3%), mentre è rilevante l'impatto del cambiamento dei consumi che coinvolge in primis tecnologia e comunicazioni (+18,9%). Il resto dei settori merceologici è invece in rapida discesa: i negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici, registrano riduzioni che vanno dal 17% per l'abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina. La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici. Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, «il futuro è molto incerto». Per fermare la desertificazione commerciale delle città, Confcommercio individua tre direttrici, come spiega il presidente Carlo Sangalli: «Sostenere le imprese più colpite dai "lockdown", introdurre una giusta web tax che risponda al principio "stesso mercato, stesse regole", piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese».

 

Fonte: La Sicilia - Articolo di : Cafaro Laura

Cancellate quasi centomila attività commerciali nel giro degli ultimi otto anni. Segno tangibile del progressivo e inarrestabile processo di desertificazione commerciale che ora, con l'onda lunga delle restrizioni imposte dalla pandemia, si va amplificando soprattutto per i contraccolpi sui settori della ristorazione e alberghiero. E lo scenario tracciato nell'analisi dell'Ufficio Studi di Confcommercio «Demografia d'impresa nelle città italiane» in cui si calcola che tra il 2012 e il 2020 sono sparite dalle città italiane oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14%) e quasi 19mila imprese ambulanti (-14,8%). Ma il rapporto lancia un altro allarme: nel2021, solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1%), si registrerà per la prima volta da due decenni la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%). «Il rischio di non riavere i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico», avverte l'associazione evidenziando come tra il 2012 e il 2020 si sia verificato un cambiamento del tessuto commerciale all'interno dei centri storici che la pandemia tenderà ad enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tengono in qualche modo i negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che svolgono nuove funzioni come le tabaccherie (-2,3%), mentre è rilevante l'impatto del cambiamento dei consumi che coinvolge in primis tecnologia e comunicazioni (+18,9%). Il resto dei settori merceologici è invece in rapida discesa: i negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici registrano riduzioni che vanno dal 17% per l'abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina. La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici. Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, «il futuro è molto incerto». Per fermare la desertificazione commerciale delle città Confcommercio individua tre direttrici, come spiega il presidente Carlo Sangalli: «Sostenere le imprese più colpite dai lockdown, introdurre una giusta web tax che risponda al principio stesso mercato, stesse regole, piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese». Ma nell'immediato, bar e ristoranti avanzano le proprie richieste per cercare di sopravvivere ai vari regimi di zone gialle e arancioni. In prima battuta, viene chiesta la riapertura serale, almeno nelle zone gialle, dei pubblici esercizi in grado di garantire il servizio al tavolo. Un'opzione «non più rinviabile», avverte Fipe-Confcommercio che propone di poter riaprire anche alla sera, fino alle 22, in zona gialla e fino alle 18 in zona arancione. «Ci auguriamo che il primo Dpcm del nuovo governo segni un cambio di passo» rimarca la Federazione dei Pubblici esercizi decisa a tutelare oltre un milione di lavoratori nelle «centinaia di migliaia di imprese che non possono essere aperte o chiuse con un'ordinanza pubblicata nella notte e valida dalla mattina successiva»

 

Fonte: Giornale di Sicilia 

Si sblocca per le imprese siciliane la possibilità di tornare a usufruire dello sgravio Inps del 30% su tutti i lavoratori dipendenti, dopo il positivo esperimento degli ultimi tre mesi del 2020 voluto dall'ex ministro del Sud, Peppe Provenzano. Il rinnovo dell'agevolazione, sancito nella legge di Stabilità 2021, non aveva trovato ancora applicazione perchè mancava la circolare dell'Inps con le istruzioni. E così tutte le imprese del Sud, per le quali vale la speciale decontribuzione, sono state costrette a versare i contributi previdenziali per intero. L'Inps con una nota aveva attribuito il ritardo alla mancata emanazione del relativo decreto da parte del ministero del Lavoro, che a sua volta attendeva l'ok dalla Commissione europea riguardo al regime di aiuti di Stato. Ciò aveva suscitato pesanti lamentele, fra gli altri, da parte di Sicindustria, Confcommercio Sicilia e Cna Sicilia. Ieri l'Inps ha pubblicato la tanto attesa circolare con le istruzioni per l'utilizzo della misura "Decontribuzione Sud". L'Inps, in pratica, ricevuto il nulla osta da via Veneto a seguito della autorizzazione della Commissione europea, ha sbloccato sui modelli Dm relativi alla denuncia mensile delle retribuzioni da lavoro dipendente i codici per riconoscere ai datori di lavoro lo sgravio contributivo per l'occupazione in aree svantaggiate. La misura, quindi, è a Peppe Provenzano e Mara Carfagna applicabile a partire dal 1 gennaio 2021 e, con la denuncia del prossimo mese, le imprese potranno fruire dell'esonero parziale relativo sia al mese di febbraio che a quello di gennaio. L'agevolazione spetta in riferimento ai rapporti di lavoro dipendente, con esclusione del settore agricolo e dei contratti di lavoro domestico, nella misura del 30% della contribuzione mensile dovuta fino al 31 dicembre 2025; al 20% dei contributi dovuti per gli anni 2026 e 2027; al 10% per gli anni 2028 e 2029. La circolare fornisce le istruzioni solo per il periodo gennaio-dicembre 2021, oggetto della Decisione del 18 febbraio 2021 di autorizzazione da parte della Commissione Ue. Le regioni che rientrano nel beneficio sono Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. La neo-ministra per il Sud, Mara Carfagna, ha dichiarato che «l'Istituto ha risposto rapidamente alle sollecitazioni del governo, grazie anche all'impegno del ministro del Lavoro Andrea Orlando. Così nella prossima rata, oltre a ottenere lo sconto contributivo del 30% relativo al mese di marzo, le imprese potranno recuperare il versamento di gennaio e di febbraio, per poi mantenere il beneficio per l'intero 2021». Frattanto, l'Inps ha sospeso lo stop all'esonero contributivo sull'intera tredicesima per i dipendenti delle aziende del Sud, dopo la sospensiva concessa dal Tar del Lazio ad un ricorso. Il decreto "Agosto" riconosce ai datori di lavoro privati del Sud lo sgravio Inps del 30% per il periodo 1 ottobre-31 dicembre 2020. L'Inps in un messaggio aveva escluso la decontribuzione per i primi nove ratei della tredicesima, lasciandola solo per la parte riferita al periodo ottobre e dicembre. Ora l'Inps ha sospeso l'efficacia di questo messaggio sulla base delle decisioni del Tar del Lazio. «I datori di lavoro interessati, che avessero già calcolato ed esposto l'esonero in argomento sull'intera tredicesima mensilità - riporta il ministero del Lavoro sul suo sito rimandando al nuovo messaggio Inps - procederanno alla rideterminazione dell'importo spettante alla luce delle precisazioni sopra esposte». «Si fa riserva - conclude l'Inps - di comunicare con apposito messaggio le decisioni che saranno assunte dal Tar del Lazio, in seguito alla trattazione collegiale in camera di consiglio del 2 marzo 2021». 

 

Fonte: La Sicilia - Articolo di: Michele Guccione Palermo

Delusioni e speranze. Sono i sentimenti dei lavoratori autonomi (soprattutto quelli iscritti alla Gestione separata Inps) in questa tornata di cambio del governo. Delusione peri provvedimenti fin qui adottati dall'esecutivo guidato da Giuseppe Conte e speranze per quello di Draghi che si appresta a muovere i primi passi. "I professionisti non si possono certo dire soddisfatti delle misure stabilite dai decreti emergenziali — afferma Anna Rita Fioroni, presidente di Confcommercio professioni — perché continuano ancora a subire l'effetto del rallentamento e, in alcuni casi, del fermo della propria attività, con forti impatti sul fatturato, anche per i mancati pagamenti da parte dei loro clienti Le misure che sono state finora messe in campo, quindi, non bastano certamente".

Gli aiuti Primo ostacolo da rimuovere è quello dei cosiddetti codici Ateco da cui dipendono i ristori e gli aiuti statali per i lavoratori autonomi. "Non riteniamo idonei i parametri per calcolare la diminuzione del fatturato — continua Fioroni — Non si può confrontare mese con mese perché il periodo è troppo breve per venire incontro alle effettive esigenze di liquidità e il criterio si presta ad effetti casuali e addirittura iniqui. Peraltro il criterio dei codici Ateco è penalizzante anche rispetto agli obiettivi del decreto legge ristori perché non si riescono ad inserire tutte le attività professionali che rientrano nelle filiere colpite dai provvedimenti restrittivi".

Le richieste Ma per gli autonomi è arrivata anche qualche buona notizia come l'istituzione del Fondo, con dotazione di i miliardo, per finanziare l'esonero parziale per il 2021 dal pagamento dei contributi previdenziali per tutti i professionisti e autonomi. E poi la creazione del primo ammortizzatore universale per lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps denominato Iscro. "Mancano ancora i decreti attuativi che disciplinano le modalità per chiedere ed ottenere l'esonero per autonomi e i professionisti anche iscritti alla gestione separata Inps. E soprattutto ci attendiamo che sia ribadita la volontà di ampliare il fondo per garantire un vero e proprio anno bianco dalla contribuzione ai professionisti ed autonomi interessati". E per quanto riguarda Iscro? "Giudizio positivo — ribadisce la presidente di Confcommercio professioni — ma attenzione: è prevista una contribuzione aggiuntiva per sostenere la misura a carico dei professionisti per il 2021 pari allo 0,2696 ed allo 0,5196 per gli anni successivi. Il periodo sperimentale può giustificare lo 0,51 per cento, ma la richiesta di Confcommercio professioni rimane lo o,2896. Inoltre, Iscro è strategico ma non dà risposta alle esigenze di ristori che tengano conto della situazione di emergenza straordinaria e diffusa in cui si sono trovati i professionisti nel 2020 per cui chiediamo comunque interventi immediati commisurati al calo di reddito". Infine restano sul tavolo temi «scottanti» come l'equo compenso e la possibilità per i lavoratori autonomi di una deducibilità dei contributi versati alle forme di sanità integrativa come opportunità di sviluppo del sistema di welfare complementare.

tratto dal Corriere della Sera

di Isidoro Trovato

Folla delle grandi occasioni: è qui la festa?

La domenica in città. Via Etnea e lungomare presi d'assalto da chi non vedeva l'ora di uscire. Solo i110% senza mascherine ® Pienone anche in bar e ristoranti ma il 25% resta chiuso. «Per dare un buon servizio ci servono certezze e programmazione» VITTORIO ROMANO "Che vergogna", "che incoscienza", "adesso la curva del contagio risalirà". Ormai ci siamo abituati alle immancabili bordate che molti lanciano attraverso i social all'indomani di una giornata festiva in cui la gente decide di uscire di casa. Oggi qualcuno scriverà, con ironia, che ieri mattina, da piazza Mancini Battaglia a piazza Europa, il "lungomare liberato" è stato un successo, visto la folla che ha invaso piazze e marciapiedi. E qualcun altro, con altrettanta ironia, posterà che in via Etnea, tra bancarelle regolari e ambulanti abusivi, sembrava di essere nei giorni della festa agatina di un anno senza pandemia. In realtà scriverebbero il vero, perché è andata proprio così: folla delle grandi occasioni in tutti i luoghi amati dai catanesi, traffico di auto sostenuto, stazionamenti in piazza Duomo e nel borgo di San Giovanni Li Cuti nonostante i divieti. E dunque, come ce ne usciamo? Niente e nessuno ieri vietava ai catanesi di uscire, ma veniva imposto loro di rispettare le misure di prevenzione dal contagio, ovvero indossare la mascherina protettiva ed evitare assembramenti. Ebbene, il 10% di chi affollava il lungomare, la via Etnea e il corso Italia, tanto per citare i luoghi più battuti, non indossava la mascherina. L'8% di questi erano ragazzi di un'età compresa tra 14 e 20 anni. I12% adulti forse convinti che il virus sia un'invenzione di chissà quali lobby internazionali. Sono questi, a modestissimo parere di chi scrive, i comportamenti da condannare (oggi forse sapremo se le forze dell'ordine e la polizia locale, ieri in campo con l'ausilio dell'Esercito, hanno elevato sanzioni) e non il fatto che la gente esca di casa. Perché se la legge lo consente, tutti ne hanno diritto. Tra l'altro ieri, visto che siamo in zona gialla, bar e ristoranti erano aperti e fino alle 18 era possibile il servizio al tavolo. E chi è rimasto aperto, soprattutto nelle zone del centro storico, del lungomare, della montagna, è stato preso d'assalto da gruppetti di amici e famiglie stanchi di sacrifici che durano ormai, con brevi pause, da un anno. «Abbiamo registrato un vero e proprio assalto ai locali di somministrazione - dice Giovanni Trimboli, responsabile provinciale dei ristoratori della Fipe Confcommercio -. La mattina tanta gente ha preso il caffè nei bar, poi molti hanno fatto l'aperitivo e davvero tanti sono andati a pranzo nei ristoranti. Un buon 25% di noi, però, ha deciso di rimanere chiuso. Ed è comprensibile. Questa assenza assoluta di programmazione che non ti consente di sapere se resterai aperto due giorni, due settimane, due mesi o chissà quanto, non aiuta l'imprenditore che dovrebbe richiamare il personale in cassa integrazione, ristabilire i rapporti con i fornitori e rimettere in piedi un'attività che ha bisogno di certezze e non può vivere alla giornata. Vediamo domani (oggi, ndr.) - aggiunge Trimboli - cosa sarà stabilito nel nuovo Dpcm, e speriamo che ci siano certezze che ci consentano di fare un'adeguata programmazione. Anche per l'estate, visto che alcuni di noi potrebbero rilevare, come gli altri anni, i punti ristoro negli stabilimenti balneari che offrono questa opportunità ai loro clienti».

Fonte: La Sicilia - Articolo di : Romano Vittorio

Le accuse alla commissione? «Col nostro lavoro diamo molto fastidio a tanti» Onorevole D'Agostino, lei fu fra i promotori dell'inchiesta dell'Antimafia regionale sui beni confiscati. Soddisfatto della relazione finale? «Assolutamente sì. L'impulso per quest'inchiesta partì dal procuratore di Catania che, alla presentazione di un libro, evidenziò le tante contraddizioni nel settore e l'importanza di uno scatto comune, anche della società civile. Nella relazione denunciamo il silenzio raggelante sulla gestione dei beni sottratti ai mafiosi, la disorganizzazione dell'Agenzia, la retorica ascoltata da chi l'ha diretta, le assenze di prefetti e sindaci sul territorio che aiuta i mafiosi a tenersi i beni».

Ci sono anche dei casi specifici, storie belle e storie brutte. «C'è il caso virtuoso di Geontrans, che resiste alla concorrenza sleale di altre società, fra cui quella nuova degli Ercolano, che godono di sconti importanti sui trasporti marittimi. E poi i casi in cui c'è un corto circuito: quello del Comune di Acireale, "distratto" su immobili in parte intestati alla moglie di un mafioso, poi rientrata in possesso dopo un ricorso al Tar. E poi ci sono i casi del complesso di Gravina e dell'agrumeto di Palagonia, simboli dello strapotere di chi dispone ancora di beni addirittura messi a bando».

Nel finale della relazione ci sono anche proposte operative. Non le sembra utopica Nicola D'Agostino, deputato lv una legge-voto nazionale per cambiare la Rognoni-La Torre? «Andrà fatta anche quella, ma più pragmaticamente penso al ddl all'Ars, visto che il 90 per cento dei beni confiscati in Italia sono in Sicilia».

Come immagina il nuovo sistema? «Con una serie di norme per rendere più trasparente ed efficace tutto il sistema: pubblicazione obbligatoria degli elenchi dei beni assegnati da parte dei comuni, con rendicontazione obbligatoria di chi li gestisce, bandi con tempi di affidamento più lunghi, anche oltre 10 anni, per facilitare investimenti e ammortamenti, un ruolo dei prefetti sul nodo bancario e una norma per facilitare l'acquisto di beni e servizi dalle aziende confiscate da parte delle pubbliche amministrazioni, magari con un marchio di legalità che apra un circuito virtuoso. A livello siciliano serve un ufficio speciale regionale di raccordo con Agenzia, Prefetture, Comuni e forze dell'ordine, con competenza su gestione e vigilanza di beni, risorse, bandi regionali, magari usando fondi Ue e anche di rotazione per l'accesso al credito attraverso Ircac, con la possibilità di assegnare alcuni beni agli Iacp».

Sull'ultima relazione e sull'attività dell'Antimafia c'è chi è molto critico. «Il lavoro di questa commissione è senza precedenti. Ce ne accorgiamo dall'attenzione delle istituzioni serie. Su Borsellino, Montante e Antoci abbiamo tolto il velo della ipocrisia e aperto scenari inquietanti, sui rifiuti abbiamo anticipato gli stessi magistrati, sui Comuni sciolti siamo andati controcorrente. Chi ci critica, attaccando Fava, non capisce che tutte le relazioni sono condivise e votate all'unanimità. Evidentemente stiamo scoprendo tabù, compreso, ad esempio sui beni confiscati, quello della sconcertante impreparazione dello Stato. Diamo molto fastidio a tanti».

Quindi lei sta dalla parte di Fava? «Fava ha dato dignità, rispetto e autorevolezza alla commissione e a tutta l'Ars. Le inchieste prodotte sono di altissimo livello e dovrebbero essere spunti per tutte le istituzioni statali e regionali per approfondire alcuni temi e non ripetere gli stessi errori».

 

Fonte: La Sicilia

Contestata la disparità di trattamento con i parrucchieri Centri estetici aperti in zona rossa, Tar accoglie ricorso Confestetica Pierfrancesco Laudani: "Sentenza esemplare, siamo enormemente soddisfatti" PALERMO - E, infine, giunse il responso del Tar del Lazio. Nelle scorse settimane il QdS ha seguito la vicenda di Confestetica, Associazione della categoria Estetisti, che ha deciso di citare in giudizio il Governo italiano con procedura d'urgenza e richiesta risarcimento. I motivi che hanno condotto a un simile passo, vanno ricercati nella disparità di trattamento tra la categoria "barbieri e parrucchieri" e "centri estetici" negli ultimi Dpcm, i quali consentivano in "zona rossa" l'apertura dei primi e la chiusura dei secondi. Tale disparità era stata giudicata "inspiegabile" dai rappresentanti di Confestetica.

Il Tar si è, dunque, espresso in merito e a raccontarci come è andata è lo stesso delegato regionale Confestetica, Pierfrancesco Laudani: "Siamo enormemente soddisfatti come categoria per la sentenza esemplare n. 01862/202 di martedì 16 febbraio del Tar del Lazio, che ha annullato l'efficacia del Dpcm del 14 gennaio 2021, in cui si prevedeva la chiusura dei centri estetici in zona rossa".

"Non di meno - aggiunge Laudani è importante sottolineare come tale provvedimento divenga immediata Pierfrancesco Laudani, Confestetica Sicilia mente esecutivo ed è valido su tutto il territorio nazionale, annullando il Dpcm nella parte in cui veniva esclusa l'apertura dei centri estetici nella zona rossa".

"Pertanto - spiega il delegato - le attuali e future ordinanze che dovessero determinare nuove zone rosse, non potranno far altro che tener conto che, in tali zone, i centri estetici - per effetto della sentenza - potranno rimanere aperti, così come lo sono stati barbieri e parrucchieri".

Grande, dunque, la soddisfazione della categoria, che ha visto in tal modo riconosciuto il danno di immagine per i centri estetici "interpretati" dal Comitato tecnico scientifico nazionale come luoghi meno sicuri dei saloni di barbieri e parrucchieri; quando - invece - stando alla tabella nazionale dell'indice di rischio contagio dell'Inail si classificano i saloni di barbieri e parrucchieri come centri con rischio alto e i centri estetici con rischio medio-alto.

Cid conferma quanto in precedenza affermato da Laudani, ossia che: "il centro estetico è un luogo adeguato e sicuro di lavoro, in cui oltre al contingentare gli appuntamenti in rapporto uno-a-uno, si eseguono trattamenti in ambienti separati con un rigoroso protocollo anti-contagio e relativo utilizzo di Dpi (dispositivi di protezione individuale), autoclave e adeguato screening e igienizzazione agli ingressi e alle uscite dell'utenza".

Le battaglie, comunque, non sono terminate. Laudani, infatti, ricorda la strada già intrapresa, ossia quella di riabilitare la figura dell'estetista, oggi purtroppo ancorata alla retrograda Legge 1/90 per la quale l'associazione sta lavorando per un suo immediato rinnovamento con proposte di legge serie e mirate, già presentate al Governo da poco insediato.

Fonte: Quotidiano di Sicilia - Articolo di: Francesca Fisichella

Dal segretario della Cgil una proposta per inaugurare una nuova stagione nei rapporti tra le parti sociali. Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio con delega al Lavoro: "Un confronto serio e costruttivo potrebbe dare un contributo di crescita al Paese".

Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha lanciato una proposta per inaugurare una nuova stagione nei rapporti tra le parti sociali. "In questa fase di grande cambiamento - ha detto Landini - dove bisogna progettare il futuro con il rischio di misurarsi con problemi nuovi, è importante, oltre alle classiche relazioni sindacali, creare momenti di incontro tra imprese e sindacato". "Sarebbe l'occasione - ha aggiunto Landini - anche per confrontarsi sui cambiamenti che ci sono o che arriveranno. Viviamo una fase che ci sta cambiando e questo richiede anche un cambio della funzione sindacale".

Confcommercio: "Sempre pronti al dialogo"
A "raccogliere" le affermazioni di Landini, è stata Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio con delega al Lavoro. "I confronti sono sempre utili, quando mirati a camminare nella stessa direzione, che in questo momento deve essere quella di fare ciascuno la propria parte, parti sociali, ma anche istituzioni e governo, per affrontare la pandemia, accelerando il piano vaccinale verso quelle attività continuamente esposte al rischio contagio perché soggette all'affluenza del pubblico e lavorando per una pronta ripresa delle attività economiche in sicurezza". "Lo abbiamo fatto insieme - ha aggiunto Prampolini - nei momenti più duri del lockdown, con gli accordi sulla sicurezza e l'impegno della bilateralità verso imprese e lavoratori. Ci attendono numerosi cambiamenti, e un confronto serio e costruttivo tra le Parti Sociali potrebbe dare un contributo di crescita al Paese".

Fonte: Confcommercio Imprese per l'Italia